SALA NERO-ARANCIO
incontri al CINEMA NELLE VACANZE
dell'Associazione Culturale Quintiliano

mercoledì 27 giugno 2012

Mercoledì 27.06.12 ore 20.05


Cinema Greenwich Village


Via Po, 30 - Torino. Telefono: +39 0118 390 123  mappa» 

Il dittatore

Un film di Larry Charles. Con Sacha Baron Cohen, Anna Faris, Ben Kingsley, Jason Mantzoukas, Megan Fox.
Titolo originale The Dictator. Commedia, - USA 2012. - Universal Pictures

di Marzia Gandolfi (mymovies)

Haffaz Aladeen è il dittatore di Wadiya, paese immaginario del nord Africa. Capriccioso e volubile, il generale e supremo leader partecipa (e vince) alle sue olimpiadi, recita nei suoi film, comanda un esercito di (belle) donne, le colleziona nel suo letto e dentro una polaroid, detesta le bombe spuntate e adora le armi chimiche, ha il vizio delle pene capitali, dei cartoni animati e della Wii. Antidemocratico e orgogliosamente idiota, Haffaz Aladeen è ‘invitato' dalle Nazioni Unite a dimettersi. Risentito e ostinato a mantenere le redini del proprio paese, partirà alla volta degli Stati Uniti per rispondere davanti al mondo delle proprie (male) azioni. Ma una congiura di palazzo, cambia il corso degli eventi. Sopravvissuto e sostituito da un sosia più scemo di lui, Haffaz Aladeen vagherà per Manhattan, scoprendo i piaceri della democrazia.
Al riparo di e attraverso un nuovo personaggio, Sacha Baron Cohen può fare e dire tutto, scaricando sul suo alter ego la responsabilità delle sue azioni. Sbarcato ancora una volta come un alieno sul suolo americano, Baron Cohen, dietro la barba e sotto il costume, è socialmente inappropriato e dotato di una libertà incondizionata di atto e di parola, con cui travolge e annichilisce gli interlocutori di turno. Dopo il reporter kazako Borat e il corrispondente di moda Brüno, spetta al supremo leader Haffaz Aladeen, refrattario alla democrazia e sovvertitore di convenzioni e convinzioni religiose e istituzionali, la demolizione dei valori americani, della tolleranza, della political correctness. Ma non si esaurisce qui la carica eversiva de Il dittatore, già piazzata ed esplosa nei precedenti film di Larry Charles (Borat, Brüno).
Baron Cohen, imitando il politico iracheno Saddam Hussein, al cui libro di ‘memorie' il film beffardamente si ispira, e il terrorista saudita Osama Bin Laden, a cui l'attore ‘prende in prestito' la barba, avvia una truffa all'esistenza idealmente prossima a quella teorizzata da Bazin intorno ai baffetti di Hitler rivendicati da Charlot. Naturalmente quando Chaplin girò Il grande dittatore Hitler era in piena attività, rendendo più ardita l'interferenza tra la mitologia della Storia e quella cinematografica, ma la morte dei due leader fondamentalisti non rende meno sfrontato il furto ontologico di Baron Cohen.
Affondato da qualche parte nell'Oceano Indiano, perché la morte non ne aveva soppresso certo l'efficacia simbolica, il corpo di Bin Laden viene recuperato all'oblio e alla difficile relazione che l'America intrattiene con la sua figura dall'effrazione della barba e dall'apparizione di un sosia dietro a una tenda del palazzo di Aladeen. Baron Cohen ne Il dittatore diventa allora corpo comico che incarna un corpo politico nocivo, fino a renderlo innocuo, fino a normalizzarlo, a burlarlo e a ridurne il carico di orrore.
Leader e sosia, a cui è sempre destinata una pallottola, l'attore inglese sceglie un'altra identità e si permette di volare sopra il cielo di Manhattan alla ricerca della barba perduta e producendo umorismo intorno all'undici settembre. E dopo la finestra sul ‘cortile' di Ground Zero del broker di Spike Lee, Baron Cohen sceglie un punto panoramico più ‘sensibile' da cui guardare l'America come rappresentazione dello spazio occidentale, sferzando gentili, arabi, ebrei, indiani, siriani e qualsiasi altro genere di etnia secondo le regole della sua poetica e alla maniera di Peter Sellers. Egoista ed egocentrista, il dittatore di Baron Cohen fa tutto quello che gli passa per la testa, è un incubo per il prossimo, la pallottola a lui destinata colpisce sempre qualcun altro e lui si limita a prenderne atto e ad andarsene, libero di licenziare, giustiziare, torturare, stuprare, dichiarare guerra. Ebreo ‘gentile' fuori dal set, l'attore archivia il reduce orfano di Hugo Cabret e recupera la modalità violenta, una sublimazione di istinti aggressivi che vengono ridotti a irresistibile momento ludico e demenziale.
La comicità di Sacha Baron Cohen è una faccenda paradossalmente seria che scarica il dolore del mondo, esorcizza il male, avverte in anticipo le paure dominanti scherzandoci sopra e dando loro una forma e un nome, soddisfa le esigenze emotive del pubblico pescando il riso dal ‘basso' ma radicandolo nello spirito.
APPUNTAMENTO PROPOSTO DA 
IL LUOGO DEL SYMPOSIUM SARA' DECISO STASERA

martedì 19 giugno 2012

Giovedì 21.06.12 ore 20.20 circa

Cinema Fratelli Marx Corso Belgio, 53 - Torino. Telefono: +39 0118 121 410  mappa» 

7 Days in Havana

 
 All'Avana, battuta dal vento e dal mare dei Caraibi, si muovono i personaggi di sette storie che non si incontreranno mai. Quella di Teddy Atkins, turista americano iscritto alla scuola di cinema che finirà per andare a scuola di vita sul taxi di Angelito. Quella di Emir Kusturica, ebbro di vino e di vita, capitato a l'Avana per ritirare un premio alla carriera e perduto dietro una jam session. Quella di Cecilia, cantante cubana dalla voce suadente che innamora un impresario madrileno e sogna un contratto all'estero. Quella di Elia Suleiman, regista palestinese, che non parla spagnolo ma guarda la realtà dell'Avana, attendendo un appuntamento all'ambasciata di Palestina. Quella di un'adolescente omosessuale mortificata e ‘ravveduta' da un esorcismo. Quella ancora di Mirta Gutierrez, psicologa che impasta torte e monta uova per sbarcare il lunario. Quella infine di Martha, che vede la Madonna e assolda un intero condominio per costruirle una fontana e celebrarla dentro una domenica cubana.
L'Avana e il suo malecon, un lungomare di dodici chilometri che affronta l'oceano, osservato da case fatiscenti e percorso da vecchie auto colorate. Auto incerte e hotel esagerati e lussuosi lasciati in eredità dagli americani negli anni Cinquanta. La capitale di un'isola a confine tra universi di civiltà distinte, come quella ispanica e quella anglosassone. Un'identità ibrida che dietro al volto decadente mostra bagliori di speranza, diventando il set di un'opera collettiva diretta da Benicio Del Toro, Pablo Trapero, Julio Medem, Elia Suleiman, Gaspar Noé, Juan Carlos Tabío e Laurent Cantet. Sette giorni per sette autori per sette episodi che si confrontano con Cuba, lo stereotipo e il mito. Due argentini, un portoricano, un cubano, un palestinese, un francese e uno spagnolo scendono per le strade disfatte dell'Avana incontrando personaggi-tipo che rappresentano molto spesso un'idea stereotipata di Cuba: quella del sesso, delle spiagge, delle mulatte, del rum, della bellezza.
Se l'episodio dei più è facile e facilmente dimenticabile, più riuscito quello di Del Toro e Trapero, stucchevole quello di Medem e mancato quello Tabío, di indubbio interesse sono i ‘brani' di Suleiman, Noé e Cantet, che escono dai cliché e tentano il ribaltamento, battendo strade suggestive e marginali. Se Suleiman si mette addirittura in scena, osservando immobile e silente una città difficile e complessa, contraddittoria e adescatrice, che ti abbaglia per non farti capire di più, per non farti trovare più, Noé rivolge lo sguardo alla Cuba arcaica dentro l'episodio più essenziale e rigoroso intorno a un rituale. Una cerimonia barbara e primitiva che strappa i ‘veli sublimatori' delle religioni per restituirci il carattere genuino e violento di un esorcismo ai danni di un'adolescente colpevole soltanto di amare.
E il Ritual del regista spagnolo dialoga bene con La fuente di Cantet, addentrandosi nell'intricata quanto esuberante selva del sincretismo religioso e culturale cubano. Tra donne e Madonne, Noé e Cantet intuiscono e restituiscono un culto magico-religioso che sposa riti pagani a tradizione cattolica, bestialità a comunanza, centrando il cuore dell'Avana e la sua malinconia quieta.
Le tre stelle sono per loro e il loro spaiato atto d'amore a Cuba. Un atto d'amore per un Paese e un sogno che si sta perdendo dietro le parole recidive e il corpo vuoto di Fidel Castro, rimandato penosamente dalle televisioni di un albergo in cui non si trova l'uscita. 
Marzia Gandolfi (mymovies)

Appuntamento proposto da