SALA NERO-ARANCIO
incontri al CINEMA NELLE VACANZE
dell'Associazione Culturale Quintiliano

mercoledì 29 giugno 2011

Giovedì 30.01.11 ore 20.05

Passannante 

Cinema Empire

CINEMA EMPIRE
Piazza Vittorio Veneto, 5 - Torino. Telefono: +39 01 119 504 083 

 


di Edoardo Becattini (mymovies)

Dai tumulti di un'Italia appena formata ai disordini di un'Italia in piena decadenza, la storia dell'anarchico Giovanni Passannante viene riesumata e divulgata grazie al lavoro di tre uomini testardi. Nel novembre 1878, Passannante era un giovane cuoco lucano di umili origini e di fervente animo politico, che acquistò coi pochi soldi che aveva in tasca un piccolo coltello con cui cercò di attentare al Re d'Italia Umberto I. Ma, in quel momento, la neonata monarchia di un paese dai forti dissidi non poteva permettersi di fare di un anarchico meridionale un martire per i sostenitori della repubblica, così che Passannante fu condannato a una prigionia disumana, che lo rese cieco e pazzo fino alla fine dei suoi giorni, mentre il suo paese d'origine, Salvia di Lucania, venne ribattezzato Savoia di Lucania. Il suo cervello e il suo cranio furono oggetto di studio delle teorie lombrosiane e sono stati conservati per più di cento anni nel Museo Criminologico di Roma, finché grazie all'opera di un teatrante, un musicista e un giornalista particolarmente caparbi, quei resti hanno trovato degna sepoltura nel paese che ancora rende omaggio alla casata dei nobili rimpatriati.
“Maledetto è il paese che ha bisogno di eroi”, diceva Brecht, ma sciagurato è soprattutto quel paese in cui gli eroi rimangono sconosciuti o fatti passare per pazzi esaltati. Dopo aver riscoperto le grandi contraddizioni dell'Unità d'Italia attraverso l'epopea dei cospiratori perdenti di Mario Martone (Noi credevamo), con Passannante conosciamo un'altra figura tragica e sventurata che ha visto i suoi ideali rivoluzionari sacrificati sull'altare di una patria embrionale da farsi devota alla monarchia. Al contrario del feuilleton di Martone, in cui i moniti al presente restavano visibili in filigrana e pulsavano nel sottotesto politico degli ideali caduti, nel film di Sergio Colabona gli echi fra presente e passato si costruiscono come una sorta di staffetta, un percorso parallelo che intreccia nel modello della docu-fiction la ricostruzione dell'operato sia artistico che civile di Ulderico Pesce, Andrea Satta e di Alessandro De Feo (giornalista dell'Espresso che ha dato visibilità alla loro causa e che qui trova il volto di Alberto Gimignani), con i principali momenti della vita dell'anarchico lucano.
Nel continuo passaggio fra le due dimensioni, si possono leggere tutta la passione per la causa repubblicana e anti-monarchica del ribelle che la violenza di stato costrinse a passare per pazzo, così come tutte le frustrazioni del percorso civile portato avanti dai tre protagonisti. L'esperienza televisiva di Colabona gli garantisce di sapersi orientare fra un'eterogeneità di materiali impiegati (oltre al racconto in costume e alla ricostruzione della battaglia contemporanea, compaiono riprese teatrali, intervalli musicali e sequenze di telegiornali), ma non di saperli gestire in funzione di una sintesi che accolga un'identità propriamente cinematografica. I passaggi fra i vari momenti mostrano un certo disagio nel dare un senso di continuità fra le due storie parallele e donano una connotazione farraginosa alla coscienza politica dell'intera opera. Dalla discreta ricostruzione in costume del personaggio di Passannante e dalle buone interpretazioni di Fabio Troiano e Luca Lionello, si passa a una rappresentazione del presente che mette insieme momenti differenti e qualitativamente discontinui, in cui le suggestioni musicali dei Têtes de Bois si combinano con gli spettacoli di Ulderico Pesce e i siparietti grotteschi ambientati fra le stanze del Ministero di Grazia e Giustizia, in compagnia dei vari guardasigilli che si sono succeduti negli anni Duemila. Sono questi momenti in particolare a esibire un'idea piuttosto amatoriale della satira e a rivelare eccessivamente la missione pedagogica del progetto. E tuttavia, la qualità altalenante del progetto non opacizza la sua passione anti-monarchica, anzi: per quanto il film non abbia certo la potenza evocativa di un'orazione civile, riesce a trasmettere questa ribellione in maniera più verace ed estremamente contagiosa. 
 
APPUNTAMENTO PROPOSTO DA

domenica 19 giugno 2011

Giovedì 23.06.11 ore 19.45

Corpo Celeste

Cinema Fratelli Marx


Corso Belgio, 53 - Torino. Telefono: +39 0118 121 410  mappa» 
di Giancarlo Zappoli (mymovies)


Marta ha 13 anni ed è tornata a vivere alla periferia di Reggio Calabria (dove è nata) dopo aver trascorso 10 anni in Svizzera. Con lei ci sono la madre e la sorella maggiore che la sopporta a fatica. La ragazzina ha l'età giusta per accedere al sacramento della Cresima e inizia a frequentare il catechismo. Si ritrova così in una realtà ecclesiale contaminata dai modelli consumistici, attraversata da un'ignoranza pervasiva e guidata da un parroco più interessato alla politica e a fare carriera che alla fede.
Alice Rohrwacher debutta alla regia di un lungometraggio con una prova che testimonia della sua abilità nel dirigere attori e non attori, garantendo quella naturalezza che per un film come Corpo celeste è una qualità indispensabile. Deve infatti sostenere la veridicità di una condizione di degrado culturale e ambientale locale con il massimo possibile di verosimiglianza. Perché il film della Rohrwacher si colloca come un Gomorra della spiritualità in cui (forse casualmente forse inconsciamente) proprio uno degli attori di quell'opera interpreta il ruolo di un parroco desolatamente impermeabile a una fede vissuta a capo di una comunità culturalmente fatiscente. In essa si aggira la piccola Marta, adolescente in formazione che solo nella madre sembra trovare un'amorevole comprensione. Tra balletti di bambine ispirati alla peggiore tv, frasi del catechismo deprivate di qualsiasi senso grazie a una catechista incolta ma volonterosa e vescovi e loro segretari dal volto grifagno o dallo sguardo raggelante, Marta va verso la Cresima attraversando dei gironi spiritualmente infernali in cui non manca neppure un sacrestano lombrosianamente così pericoloso da annegare gattini appena nati. Un appiglio affinché una sua possibile fede possa non essere totalmente dissolta nell'acido muriatico di un'insipienza eretta a sistema potrebbe venirle da un anziano e isolato sacerdote che le fa conoscere la ‘follia' di Cristo.
Ciò che non convince nella sceneggiatura (a differenza di film come Cosmonauta e I baci mai dati 
 sicuramente non teneri con la Chiesa) è la compressione dell'ottica. Noi conosciamo Marta solo per quanto attiene la sua vita in casa (in misura minore) e la sua attività in parrocchia. Come se il Catechismo per una ragazzina di 13 anni fosse oggi pervasivo come per un'educanda in un collegio di inizio Novecento. Marta non sembra avere altre occasioni di vita o di relazione sociale (la scuola ad esempio?). Non avendo esperienza diretta della realtà calabra che Rohrwacher ha voluto portare sullo schermo non ci si può permettere di negarne la verosimiglianza. Si può solo constatare che, per fortuna, il mondo ecclesiale italiano è molto più complesso e articolato. 
Appuntamento proposto da